La settimana scorsa a Londra siamo andati ad ascoltare un talk in uno spazio di coworking molto stimolante a Moorgate, Wework. Il tema era il GROWTH HACKING e lo speaker era Vincent, un tipo vestito in maniera discutibilmente eccentrica, un esibizionista che non ci aveva ispirato molta fiducia. Anzi, avevamo pensato che i 45′ in tube per arrivare lì in un pomeriggio di pioggia battente erano stati sicuramente una perdita di tempo che ci saremmo potuti risparmiare.
Vincent invece si è rivelato un fe-no-me-no. Preparatissimo, esperto, abilissimo comunicatore e tutto il talk è stato, oltre che di grande ispirazione, anche ricco di spunti e indicazioni pratiche. Utilissima esperienza in sostanza – grazie anche alla ottima birra offerta che potevi spillarti da solo nel coworking.

Ma facciamo un passo indietro. GROWTH HACKING. Per sintetizzare, secondo la definizione di Vincent, consiste in una tecnica di marketing che combina creatività, metriche, pensiero analitico e tool software per acquisire visibilità, clienti, nuovi utenti registrati ai nostri servizi.

Il growth-hacker è una figura un po’ ibrida… borderline, a metà tra il programmatore, lo smanettone e il marketer, uno capace di far crescere velocemente gli utenti di un nuovo servizio online, creare interesse utilizzando tecniche virali, reinterpretare e sfruttare per le proprie necessità servizi online di terzi pensati per finalità diverse. Tutto senza investire 1€ in pubblicità e senza quindi “scadere” nel commerciale. Non ricorrere alla pubblicità, sia per mancanza di budget (il growth hacking è nato con le startup, notoriamente senza mezzi all’inizio) sia perché vedere una pubblicità di un nuovo servizio online nascente immediatamente ce lo farebbe percepire come “commerciale”, quindi poco appealing. I principali “unicorni”, le startup più influenti e disruptive (Airbnb, Etsy, Facebook, Spotify, Whatsapp, Slack, Linkedin, Uber, Snapchat, Instagram, etc.) sono cresciute in maniera incredibilmente veloce utilizzando tecniche di growth hacking oggi conosciute, che hanno reso possibile il coinvolgimento di milioni di clienti in pochissimo tempo ed a costi irrisori.

Per i brand, il growth hacking può essere quell’elemento che fa la differenza in campagne digital, perché l’utilizzo di tali tecniche può creare una crescita esponenziale della portata delle campagne. Un esempio. Se un’azienda decide di fare attività di database building per gestire attività promozionali tramite successivo email marketing, tra le varie opzioni che ha sicuramente considera una campagna engagement (di solito con annesso concorso a premi). Con una campagna ben strutturata, può acquisire velocemente e a costi competitivi lead profilate. Solitamente le campagne prevedono anche un budget media per promuovere l’iniziativa. Ma se la meccanica e l’app con cui viene gestita la campagna integrano tecniche di growth hacking e meccaniche virali, sarà necessario investire meno budget media ed il costo per lead risulterà inferiore.

Se ti interessa l’argomento, abbiamo preparato un corso sul growth hacking, con tecniche ed esempi concreti (rivolto ad aziende che vogliono lanciare nuovi prodotti/servizi o trovare nuovi clienti per quelli già disponibili).

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